Il primo allunaggio di un essere umano fu quello di Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, il 20 luglio 1969, seguito da quello di Buzz Aldrin, (sul modulo lunare chiamato “Eagle”) mentre il loro compagno Michael Collins controllava il modulo di comando Columbia.
Dopo un attento controllo visivo, Eagle accese il motore e iniziò la discesa.
Durante questa fase, gli astronauti si accorsero che il sito dell’allunaggio era molto più roccioso di quanto avessero indicato le fotografie. Armstrong prese il controllo semi-manuale del modulo lunare, che fece allunare alle 20:17:40 UTC (22:17:40 ora italiana) con ancora 25 secondi di carburante. Armstrong e Aldrin scesero sulla Luna alle ore 4:17 P.M. L’evento fu trasmesso in diretta tv mondiale, stiamo parlando del 1969 quindi con un grande sforzo tecnico per l’epoca. Dopo qualche minuto di diretta dove si vedevano i due astronauti camminare goffamente sul suolo lunare, accadde un inconveniente tecnico: black out di trasmissione per quasi 6 minuti. Il collegamento è stato prontamente ristabilito, e tutti sappiamo come è andata a finire.
Cosa accadde in quei minuti? E se fosse successo qualcosa al di là di ogni immaginazione? Al di là delle ipotesi dei complottisti di falso? Vediamo la nostra ipotesi di quello che è successo.
Aldrin iniziò ad avvertire i rumori tipici delle interferenze nelle cuffie della radio nel casco, si girò verso Armstrong e gli chiese a gesti se fosse tutto ok. Armstrong ci mise un po’ a capire, ma poi rispose con ”ok” con il pollice. Dopo qualche istante, Aldrin dovette spegnere la radio perché le interferenze erano diventate molto fastidiose, al limite dello stordimento. Non aveva più contatto con Collins, rimasto sull’Apollo. Si girò verso Armstrong e lo vide fermo, che stava osservando il limite dell’orizzonte lunare. Si avvicinò a fatica al suo compagno di viaggio e gli si mise nel campo visivo per farsi vedere. Armstrong sbattè gli occhi più volte, poi a gesti si fece capire comunicandogli di seguirlo. Senza attendere la risposta di Aldrin, partì velocemente verso quella che era la linea di confine della luce sul suolo lunare. Aldrin iniziò a chiamarlo, ma Armstrong non rispose, e Collins era sempre irraggiungibile: erano completamente isolati uno dagli altri. Così si mise a correre come meglio poteva dietro al compagno. Arrivarono ad una piccola collinetta e, in un attimo si portarono in cima. La vista era spettacolare, non essendoci atmosfera l’universo era così chiaramente e limpidamente esposto davanti a loro due. Era una vista così fantastica che le stelle erano quasi a portata di mano. Aldrin istintivamente allungò la mano come per toccarle, e ne toccò una.
La stella toccata vibrò leggermente a seguito del tocco, e poi si fermò.
Aldrin rimase impietrito, si girò verso Armstrong e lo vide che camminava come fosse rasente un muro. Lo seguì quasi senza rendersene conto. Arrivati ad un piccolo declivio, Armstrong si fermò di colpo come se avesse sbattuto contro qualcosa. Quando furono vicini, si guardarono negli occhi ed allungarono le mani insieme verso le stelle. Davanti a loro, una porzione di universo fece un piccolo scatto, ed iniziò a scivolare lateralmente portandosi dietro le stelle e rivelando un antro buio come la pece. Armstrong appoggiò la sua mano sul braccio di Aldrin ed insieme avanzarono dentro quel buio, accendendo i loro faretti dei caschi.
Davanti a loro si presentò un locale vastissimo, incalcolabile ad occhio: era come essere una formica in un hangar. Si mossero pian piano verso l’interno e sul retro della porta che si era aperta videro dei segni colorati e molto sinuosi. Aldrin non li riconobbe, ma Armstrong lo prese per un braccio e lo riportò il più velocemente possibile alla navetta. Scapparono cadendo più volte, e quando furono sulla navicella, le comunicazioni ripresero a funzionare perfettamente.
Decisero di non dire niente a nessuno, e mentre stavano risalendo verso l’Apollo Armstrong guardò fuori dal finestrino e pensò: “siamo dentro una enorme sfera e quella era la scrittura dei Maya, sulla luna……”
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