“The Crow”, o come in Italia è conosciuto “Il Corvo” è un film iconografico di praticamente tutte le generazioni dalla sua uscita. C’è sempre stata la polemica, tra le diverse scuole di pensiero, sul fatto che si tratti o meno del più lampante caso di “idolatria della morte di una persona famosa”. Insomma, la domanda è: Il Corvo sarebbe diventato il film cult che è, se Brandon Lee non avesse incontrato la sua tragica fine sul set? Tolto il fascino che la morte del protagonista dona, non è un film abbastanza thrash?
Ora che vi abbiamo dato qualcosa di cui discutere nelle serate nerd di poca affluenza, parliamo di cose serie. Perché quello che non molti, a parte i veri appassionati, sanno, è che “Il Corvo” non nasce come film ma come fumetto.
E ancora prima di essere un fumetto, è una biografia.
Va bene, smettete di ridere, ora vi racconto.
Ho avuto l’indubbio piacere e privilegio di essere l’interprete per l’intervista dell’autore del Corvo, James O’Barr, al Biografilm Festival di Bologna del Giugno scorso. Ammetto, nella mia fragrante ignoranza, che seppur sapessi molto bene che la sceneggiatura del Corvo (uno dei miei film preferiti di sempre) fosse stata presa da un fumetto, non ero mai riuscita / non avevo mai davvero provato a cacciare seriamente, a procurarmelo o a leggerlo. Immaginate quindi la frusciante gioia quando non solo mi sono ritrovata la seconda edizione ampliata ristampata da BD edizioni ma anche il suo autore in visita al Festival per cui volontarieggio praticamente tutti gli anni. Infine il buco sul soffitto che ho provocato quando mi hanno detto che serviva un’interprete per la sua intervista perché quella ufficiale aveva altre interviste da seguire.
James O’Barr è un cinquantenne dal capello lungo, con gli occhiali e un’aura di tristezza che gli aleggia intorno come un fantasma depresso. Mi arrivò al Festival con un piede due volte tanto perché in Arizona, dove aveva preso l’aereo per scendere a Catania e risalire l’Italia in una serie di eventi, un ragno lo aveva morso. Lui non ci aveva dato peso, ma siccome l’Arizona comincia non a caso con la stessa lettera dell’Australia, qualunque cosa ti morda virtualmente può mandarti al creatore, e poco c’è mancato che ci perdessimo O’Barr in terra italica, visto che il morso ha fatto infezione. A momenti ci rimane secco. Per fortuna è sopravvissuto e doveva solo girare con una scarpa e una ciabattona con il piede tutto avvolto da bende. Nonostante questo se la sgambava allegro per tutto il festival, con me e la giornalista RAI Maria Agostinelli alle calcagna, fino alla sua presentazione pubblica della ristampa.
Se vi siete sempre chiesti da dove sia saltata fuori la triste storia di Eric e Shelly, la risposta è molto semplice.
È vera.
Nel senso che James O’Barr perde la fidanzata durante una rapina, uccisa da un colpo di pistola, morta prima che potesse essere chiamata un’ambulanza. Come penso (spero) nessuno di noi possa immaginare, questo provoca un crollo verticale nella sua vita, portandolo ad arruolarsi nel corpo dei Marines e venire spedito così a Berlino (parliamo degli anni ’80, quindi non esattamente un posticino tranquillo e sereno). Qui scopre che ha un piccolo problema con l’autorità che non lo rende, esattamente, un soldato esemplare, e la vita da militare diventa un ennesimo peso, mentre nella sua testa ancora non riesce a cancellare la terribile scena a cui ha assistito. Assediato dai fantasmi e dal nervosismo per una vita di regole a cui l’istinto, fondamentalmente, gli impone di ribellarsi, prima di “uccidere qualcuno” (parole sue), mette la matita sul foglio e comincia a stendere, nel 1981, le prime tavole del Corvo.
Non so quanti di voi abbiano già letto il fumetto. Se non lo avete fatto, vi consiglio di reperire una copia di “Il Corvo, Edizione Definitiva” e di buttarvici.
Tanto per cominciare, non c’entra nulla col film, per la sceneggiatura del quale, infatti, O’Barr non è stato particolarmente tirato dentro, cosa che non gli ha fatto molto piacere. A parte alcuni dettagli, come il fatto che Shelly venga uccisa, anche se qui muore in tutt’altro modo rispetto alle motivazioni sociali del film, alla presenza della bambina Sarah e del buon poliziotto, e il finale, dimenticatevi completamente il film.
Il fumetto è un’esperienza nuova, quasi fresca. Se di fresco si può parlare riferendosi a tavole quasi completamente dipinte di nero. Il tratto di Barr è spigoloso nelle outlines e morbido nei dettagli. I personaggi sono tutti smaccatamente distinti, non ci sono comparse o personaggi che si assomigliano tanto per riempire spazio. Lunghe parentesi sono dedicati ai dialoghi di Eric col Corvo, che ha una parte decisamente più discorsiva e centrale, di saggio e di guida, rispetto al gracchiare e basta che nel film gli avevano attribuito. O’Barr, d’altra parte, ci rivela che la scelta del corvo gli viene dalla nutrita mitologia che si svolge sulla figura di questo volatile, presente come guida verso l’aldilà in più di una cultura, come ad esempio le Morrigan irlandesi, e del suo ruolo di riciclatore di morte che trasforma cadaveri in vita, nutrendo sé stesso e i suoi piccoli.
Sentendolo parlare si capisce come O’Barr non abbia semplicemente preso il primo clichè sulla morte che gli è capitato tra le mani perché “sembrava figo”, ma che dietro all’uso di questo animale ci sia una ricerca che, probabilmente, ha aiutato lui stesso prima ancora che il suo personaggio.
E da qui l’accezione prettamente biografica del fumetto.
Certo, la storia, per sé, è quella che nella distorta mentalità quotidiana definiremmo un “Urban Fantasy” (ristabilendo, peraltro, un onore e un lustro al genere che le ultime generazioni di scrittori hanno coperto di fango, per non parlare di altri materiali) ma che Eric sia O’Barr è chiaro fin dalle prime pagine.
Questo volume speciale non è solo la solita ristampa per cercare consensi. Si tratta di un’edizione ampliata e, appunto, definitiva nella quale O’Barr ha voluto inserire un buon quantitativo di pagine contenenti scene inedite. La quasi totalità di queste sono scene tra Eric e Shelly da viva, dei flashback dei loro momenti felici insieme, che intervallano l’oscuro cammino di vendetta dell’uomo tornato dalla tomba. Non credo, a questo punto, di dovervi dire che, anche questa volta, non si tratta di immaginazione. Si tratta di tavole che O’Barr aveva già disegnato all’epoca della prima edizione, ma che non era riuscito a convincersi a pubblicare perché le considerava troppo “private”, troppo personali. Erano suoi ricordi che non riusciva a vedere messi in pubblico, come se quella parte di vita con la sua Shelly non dovesse essere vista da nessun altro, col rischio di essere sciupata.
In vista di questa ristampa, però, ha trovato il coraggio di inserire anche queste tavole che, effettivamente, danno una completezza tale all’insieme da far sembrare assurdo il poter leggere il volume senza. Conoscendone il significato reale, peraltro, è anche difficile per i più teneri di cuore non sentire un vago nodo alla base della gola.
O’Barr è un uomo taciturno, sempre con la matita in mano, che fa schizzi ogni volta che può. Sorride di rado, ha l’aria molto seria, ma quando gli viene posta una domanda risponde in maniera ampia e ben pensata. Non è vanaglorioso né pensa che il suo successo lo metta su un altro piano. A dirla tutta sembra vivere, tuttora, in quel mondo nero che ha saputo disegnare, uscendone per brevi momenti quando viene distratto per qualche motivo. Interrogato sull’arte, ci rivela che, dal suo punto di vista, un quadro ha significato solo negli occhi di chi lo guarda, che nel quadro più allegro e vitale lo spettatore vedrà, sempre, il suo stato d’animo presente e quasi mai ciò che l’autore ha voluto comunicare. Si lancia in profonde ed appassionate discussioni culturali (facendo fare alle mie capacità di interprete lo straordinario e anche alla mia memoria da pesce rosso) e poi, di nuovo, torna zitto come se non avesse mai detto niente. In compenso, è disponibile coi fan. Sorride, si fa fare foto, firma autografi come se non ci fosse un domani. Al termine dell’intervista mi ringrazia sorridendo scusandosi per le lunghe risposte, probabilmente inquietato dal fumo che mi esce, subdolo, dalle orecchie. Ma è davvero incredibile l’aura di tristezza che gli aleggia intorno.
Non è affatto difficile credergli quando ti guarda e dice che la storia di Eric è la sua storia.
Che lui è Eric.
In definitiva, se ancora non siete riusciti a procuravelo, il mio consiglio è assolutamente di reperire e leggere questa nuova edizione. Con la giusta dose di preparazione psicologica perché, davvero, col film non ha nulla a che vedere. Molto meno spettacolare, molto più introspettiva.
Molto più biografica.
p.s. si vocifera di un remake del film, con un O’Barr molto più coinvolto nella stesura della sceneggiatura, ma ancora di notizie certe in giro ce ne sono poche. Anche qui, il dubbio: sperare o non volere? Ai posteri…