John Carter di Marte
Titolo: John Carter di Marte – Titoli originali: A Princess of Mars, The Gods of Mars, The Warlord of Mars
Autore: Edgar Rice Burroughs
Editore: Editrice Nord
Collana: Cosmo Oro, Tascabili Nord Fantascienza
Pagine: 513
Anno di pubblicazione: 1912-13-14 per l’edizione in lingua originale
Prezzo: – (reperibile in biblioteca e su Ebay)
Dalla quarta di copertina:
Giunto su Marte in modo singolare, il terrestre John Carter v’incontra un mondo antichissimo, ormai avviato verso il tramonto, in cui una grande civiltà del passato ha ceduto il posto a una miriade di città-stato, e in cui le diverse razze umane che l’abitano si muovono un’interminabile guerra per la sopravvivenza.
E’ un mondo in cui la barbarie e la scienza, le feroci orde del deserto e le progredite flotte aeree delle città sui canali si affrontano continuamente in un mortale braccio di ferro. E’ un mondo popolato da mostruosi animali e da uomini ancor più mostruosi: in esso John Carter si guadagnerà l’amicizia e il rispetto universale, e infine condurrà tutto il pianeta a ribellarsi contro la falsa religione che domina da millenni, incontrastata.
La lettura:
Ci sono momenti in cui dopo aver sentito parlare di una saga ti viene voglia di provare a leggerla, ed è così che mi sono procurato tutti e cinque i volumi che compongono il ciclo marziano scritto da Edgar Rice Burroughs (noto anche come il “papà” di Tarzan) di cui questo primo volume raccoglie la trilogia principale e autoconclusiva, ovvero può essere tranquillamente letta senza doversi procurare gli altri volumi.
Chiariamoci subito, John Carter non è un personaggio sfaccettato dai mille complessi, è un eroe tutto d’un pezzo, un’abile spadaccino della Virginia reduce della guerra di secessione, spavaldo e dal coraggio e dall’onestà senza limiti. Senza contare il fatto le capacità del protagonista sono amplificate dalla bassa gravità di Marte, cosa che gli permette di spiccare balzi di svariati metri o di uccidere con un pugno un valoroso guerriero marziano alto cinque metri. E sono tutte queste doti che lo porteranno ad influenzare fortemente il futuro del pianeta.
Altra cosa da chiarire è la linearità delle trame, nonostante la quantità di colpi di scena non indifferente, non è sulla complessità della trama che si notano i punti di forza dell’opera, che punta principalmente al salvataggio della bella principessa marziana Dejah Toris, per la quale John Carter arriverà ad attraversare l’intero pianeta; oltre a questo Burroughs, soprattutto in Gli Dei di Marte, abusa un po’ degli incontri fortuiti con personaggi amichevoli o disponibili ad aiutare il protagonista, ma tant’è…
Detto questo, John Carter di Marte potrebbe sembrare un’opera banale (non possiamo definirla trita e ritrita in quanto tra i primi – se non il primo – del genere), ma il fascino non sta principalmente nelle pur avvincenti vicende, sta nelle vivide descrizioni del pianeta Marte, chiamato Barsoom dai suoi abitanti, le razze, le civiltà, i luoghi, le creature… E’ Barsoom ad essere protagonista, tanto e quanto, se non più di John Carter: un pianeta vivo e incredibilmente affascinante, un fascino “barbarico”. Dagli sterminati fondi degli oceani morti percorsi dalle tribù barbariche dei giganteschi marziani verdi (alti cinque metri, dotati di quattro braccia e molto molto inclini ai saccheggi e al massacro), alle splendide città dalle architetture ardite popolate dalle razze più simili a quella umana e dotate di immense flotte di navi volanti e orgogliosi guerrieri, fino al misterioso tempio del terribile culto della dea Issus al cui inganno cui tutti i popoli di Barsoom sono sottomessi. E’ proprio qui che sta il fascino dell’opera: una serie di trovate ancor oggi geniali, in grado di lasciare a bocca aperta e che invogliano sempre più a scoprire quali saranno le trovate dell’autore (ancor più originali già a partire dai due libri successivi), cosa resa ancor più agevole dallo stile di Burroughs: semplice e diretto, senza fronzoli di sorta, ma perfetto per visualizzare le gradiose scene e gli avvenimenti.
In definitiva, nonostante i quasi cent’anni sul groppone e gli emuli da esso scaturiti, John Carter di Marte si difende benissimo anche oggi, un’opera estremamente godibile e terribilmente affascinante, capace di catturare con l’esotismo dei suoi luoghi, delle sue creature e dei suoi personaggi… una volta finito l’unico pensiero che ho avuto è “ne voglio ancora”.
Un classico d’altri tempi.
Voto 9/10
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